(E. Munch “L’ urlo”)  In Italia esistono oltre 30 ordini professionali ed è il Paese europeo che ne ha di più. Dovendoli appellare correttamente non dovremmo chiamarli ordini, bensì “caste chiuse” alle quali si dovrebbe accedere (il dubitativo è d’ obbligo)dopo aver penato per alcuni anni come fac-totum dei vari professionisti e “dominus” ai quali ci si affida per […]


(E. Munch “L’ urlo”) 

In Italia esistono oltre 30 ordini professionali ed è il Paese europeo che ne ha di più.
Dovendoli appellare correttamente non dovremmo chiamarli ordini, bensì “caste chiuse” alle quali si dovrebbe accedere (il dubitativo è d’ obbligo)dopo aver penato per alcuni anni come fac-totum dei vari professionisti e “dominus” ai quali ci si affida per una sapiente e onnisciente formazione professionale. Le leggi statali impongono che per far parte di un ordine-casta professionale sia necessario il possesso di un determinato titolo di studio, per alcune professioni è poi previsto un periodo solitamente biennale di praticantato, ed infine il superamento di un apposito esame di abilitazione da sostenersi in un’ unica sessione annuale.
Sin qui appare tutto ben definito, chiaro, organizzato e semplice: si studia, ci si laurea, si pratica e poi si supera un’ esame per poter finalmente esercitare una professione di tutto rispetto con l’ orgoglio di appendere ,all’ esterno dello studio, una targhetta dorata sulla quale si adagia una sinuosa ed aristocratica scrittura che riporta il titolo di: Avv., Dott. Commercialista, Geometra, Ing., Cons. del Lavoro, ecc. ecc…
Essendo un ex praticante avvocato ed avendo frequentato le aule dei tribunali, posso soltanto esporre quali scompensi emotivi hanno gli aspiranti “periti del Diritto”, senza commentare le esperienze dei cadetti iscritti in altri albi professionali. La realtà è pressoché sconcertante. Vi sono giovani praticanti, in media trentenni, sofferenti di malattie psicosomatiche dovute allo stress accumulato per non riuscire a superare l’ esame di abilitazione: uomini in giacca e cravatta che nei corridoi dei palazzi di giustizia assumono pastiglie di maalox per sedare i lancinanti dolori allo stomaco, e donne in tailleur che piangono perchè i loro tentativi di conquistare il tanto agognato titolo professionale hanno raggiunto le edizioni del Grande Fratello.
Tra il serio ed il faceto bisogna ammettere che viamo in un paese in cui la costanza nello studio e l’abnegazione professionale non vengono ripagate. I praticanti sono intellettuali sfruttati, che investono enormi capitali e fanno prostranti sacrifici in attesa di divenire dei professionisti. 
L’ esame per essere abilitati alla professione forense, in Italia, si tiene una sola volta l’ anno, nel mese di dicembre e le statistiche evidenziano che la media dei promossi agli scritti (per poi accedere all’ orale) è del 20%.
E’ mai possibile che su 1000 persone soltanto 200 abbiano acquisito, in due anni di praticantato prestato gratuitamente, le competenze necessarie per essere dei futuri Avvocati?

Se non si eliminano o regolamentano con vero spirito liberale gli ordini professionali, si alimenterà e crescerà a livelli esponenziali il numero dei precari, dei disoccupati, dei giovani avviliti ed esacerbati in virtù del mancato riconoscimento degli sforzi intellettivi profusi per poter professare un lavoro dignitoso.



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